Tutti gli articoli di Flavio Dal Lago

Vivere la crisi 17/11/2019

VIVERE LA CRISI

17 Novembre 2019

Oggi il Vangelo ci parla del giudizio di Dio sulla storia e dei giorni difficili che aspettano i cristiani, ma i profeti e lo stesso Gesù dicono che i giusti non hanno nulla da temere perché Dio è buono e sarà vicino nel momento della prova.
La crisi, prima o poi, si affaccia nelle nostre vite e il Vangelo di oggi ci ricorda che tutto va in crisi: il sistema politico, il sistema naturale (cambiamenti climatici), il sistema religioso (persecuzioni, martiri, odio), il sistema familiare…La crisi non è una punizione divina. Fa parte della nostra vita: certe strutture, certe modalità, certi modi di vivere necessitano di essere rinnovati. Il problema, quindi, non è andare in crisi, ma come la si vive.
Disperarsi? Non ne vale la pena. Il Vangelo ci indica come stare nella crisi, per fare di essa un’occasione di crescita e non di fallimento.
In primo luogo Gesù ci insegna a “non farci ingannare e a non vagare errando” E’ facile andare in confusione.
In secondo luogo troviamo l’invito a “non andare dietro ai falsi maestri”.
Un invito forte ad essere svegli e non addormentati. Non seguire chi ci propone facili soluzioni.
Il terzo invito del Vangelo è: “non fatevi prendere dalla paura, non fatevi mettere sottosopra”. E’ facile farsi prendere dalla paura e perdere la bussola.
Infine il Vangelo ci invita a restare calmi e lucidi. Usiamo le nostre energie buone per costruire il bene e, se serve, per ricostruire.
L’impegno di noi tutti è quello di “dare testimonianza con la perseveranza”, con il coraggio e l’audacia nel tenace, umile, quotidiano lavoro.
Non è una questione di capacità ma FIDUCIA in una promessa:
Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (Lc 21,18).
Con queste parole Gesù non ci promette una vita senza problemi, vuole però trasmetterci la convinzione che la storia cammina sotto la sua guida, verso una buona meta. Il cristiano è colui che matura questa forza interiore. Questo è il senso profondo della preghiera.

La vita futura 10/11/2019

LA VITA FUTURA

10 Novembre 2019

L’anno liturgico sta per finire e siamo tutti invitati a riflettere e a confermare la nostra fede nella risurrezione dei morti.
La prima lettura odierna ci parla del martirio di sette fratelli Maccabei e della loro madre. La forza di questa donna e dei suoi giovani figli non è ingenuità. E’ la convinzione sicura che Dio darà al loro corpo maltrattato dai carnefici la risurrezione definitiva. Sono commoventi le parole della madre che dice: “Senza dubbio il Creatore del mondo, per la sua misericordia, vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita”.
Nel Vangelo incontriamo alcuni Sadducei, che non credono alla risurrezione, formulare a Gesù la domanda: “La donna, dunque, alla risurrezione di chi sarà moglie dal momento che ha sposato, uno dopo l’altro, ben sette uomini tutti fratelli fra loro?”. I Sadducei sanno che il nemico degli uomini è la morte: la regina delle nostre paure.
E’ una domanda ironica, che provoca: un caso paradossale.
Gesù dirà loro: “La risurrezione ci sarà, ma condurrà ad un modo di vivere profondamente nuovo. Poiché Dio ama l’uomo non può lasciarlo in balia della morte. Il Dio non è dei morti, ma dei viventi… (Lc 20,39). L’aldilà non è quindi un premio “meritato” dall’uomo, quanto la continuità di un patto realizzato con il Dio della vita.
Più che temere la morte, dobbiamo imparare a vivere bene.
San Cirillo dice: “La speranza della risurrezione è la radice di ogni buona azione: l’attesa del premio irrobustisce l’anima. Ogni operaio è pronto a sopportare la fatica se ne prevede la ricompensa. Ogni anima che crede nella risurrezione ha cura di se stessa. Quella, invece, che non crede nella risurrezione si abbandona alla rovina.”
Perché allora tanta gente del nostro tempo, in particolare i giovani, consumano la loro esistenza nell’abbandono insensato delle proprie energie e nella trascuratezza spirituale?
Quanto oggi credono nell’aldilà? Quanti pensano con fede sicura che esiste una vita futura in Dio per ciascuno di noi?
A noi tutti ciò che preme sapere è: Ritroveremo i nostri cari, il marito, la moglie, i figli, coloro che amiamo? Li rivedremo? Certamente sì, anche se con modalità diverse che ci sfuggono.
Non dobbiamo temere: noi siamo nelle mani di Dio e nulla e nessuno, nemmeno la morte, può strapparci dalla sua mano.

Cambiare vita 03/11/2019

CAMBIARE VITA

3 Novembre 2019

Eccoci, di nuovo, di fronte ad un pubblicano, ad un capo dei pubblicani.
E’ una persona ricchissima, molto influente e sicuramente, a causa delle sue ricchezze e del suo mestiere, persona mal vista dalla popolazione, forse di tutta la città di Gerico.
A Zaccheo le cose che possedeva non gli bastavano più. Era un uomo ricco ma infelice. Per questo desidera vedere Gesù, è incuriosito.
Sale su di un albero, forse anche per vedere Gesù senza essere visto né da lui né dalla gente.
Tutti, almeno una volta nella vita, sentiamo una nostalgia di bene, sentiamo il bisogno di cambiare, la voglia di alzare la testa. Non ci sono, solamente l’uomo e la donna alla ricerca di Dio, ma Dio stesso è alla continua ricerca di noi.
Ad un certo punto del nostro cammino, come Zaccheo, abbiamo bisogno di Qualcuno che ci dia una mano, che ci aiuti a “salire”, per incontrare lo sguardo di Colui che può riempire di senso la nostra vita.
Gesù vede Zaccheo, lo chiama per nome, lo guarda negli occhi, lo tratta da amico e si fa invitare a pranzo. Zaccheo ne è profondamente colpito.
Un invito a pranzo non è mai un atto banale ma è sempre un fatto impegnativo, coinvolgente, segno di amicizia, di un forte desiderio di condivisione.
A casa sua Zaccheo stupisce Gesù donando metà delle sue ricchezze a favore dei poveri e fare giustizia. E non solo questo. Restituisce quattro volte quanto ha rubato. Zaccheo, con la sua generosità, supera la legge perché non restituisce il doppio di quanto rubato, ma quattro volte tanto.
Incontrare Gesù è trovarsi faccia a faccia con chi ti ha amato da sempre, con chi ti conosce come nessun altro e ti ama dimenticando il tuo passato, che ti accetta come sei e ti cambia definitivamente la vita, che chiude “gli occhi sui peccati degli uomini” (Sap. 11,23).
Per rendere più personale il messaggio del Vangelo odierno possiamo porci una domanda: se oggi invitassimo a pranzo Gesù, che cosa dovrebbe o potrebbe cambiare nella nostra vita”?. Come dovremmo orientarci per dimostrare che “la salvezza è entrata nella nostra casa”?. (Lc 19,9).

Io vi dico 27/10/2019

IO VI DICO” (Lc 18,14)

27 Ottobre 2019

Oggi si ritorna a parlare di preghiera e vengono contrapposti non solo due modi di pregare ma due modi di pensare a se stessi, due modi di orientarsi alla vita, due modi di rapportarsi con Dio. Perché?
Perché tutti siamo tentati di sentirci giusti davanti a Dio e migliori di quelli con cui ci confrontiamo. Questa è una delle peggiori malattie di ogni comunità.
Dio ascolta sempre la preghiera del giusto, soprattutto quella degli umili, degli oppressi, degli indifesi; ascolta le invocazioni dell’orfano e della vedova. Le loro preghiere attraversano le nubi e giungono fino a Dio.
Nella parabola odierna incontriamo due Ebrei in preghiera: un pubblicano, funzionario delle tasse, pubblico peccatore e odiato dagli uomini, e un fariseo, responsabile verso Dio e la sua religione, con generose offerte, tasse regolarmente pagate e…degno di ogni rispetto.
Dio che vede tutto, che sa tutto, vede la diversità fra i due uomini, entrambi in preghiera. Gesù vede nel fariseo, fiero, in piedi, ai primi banchi del Tempio, colui che si confronta, che giudica, che divide gli uomini, li etichetta: nord – sud, bianchi e neri … Si sente perfetto ed è duro nei confronti degli altri. E’ certo della gratitudine del Signore.
Il pubblicano, invece, non alza gli occhi al cielo e si batte il petto. È un uomo segnato dalla vergogna, dalla disperazione, La sua preghiera è sobria, non ha alcun vanto, non elenca i suoi peccati. Egli è quasi nascosto dietro l’ultima colonna del Tempio e si presenta davanti a Dio a mani vuote. Non ha meriti da mostrare e chiede Misericordia. Cosa ci dice la Parola di Dio oggi?
E’ urgente pregare e soprattutto pregare bene. E’ necessario abituarsi a pregare e farlo ogni giorno.
Dobbiamo poi perdere il maledetto vizio di giudicare, così diffuso, oggi come sempre. Lasciamo che sia Dio a leggere nel cuore di tutti e confrontiamoci unicamente con Lui.
Gesù, nostro Maestro, concludendo questa parabola con le parole solenni: “Io vi dico…” ci dice che il pubblicano crede nella Misericordia di Dio e il fariseo no.

S. M. Bertilla Boscardin 20/10/2019

S.M. BERTILLA (n. 6.10.1888 – m. 20.10.1922)

20 Ottobre 2019

Anna Francesca Boscardin (Annetta per tutti) nasce a Brendola da genitori contadini, poveri ed analfabeti. Buona la mamma, rude e litigioso il papà in preda al vino e gelosia. Infanzia triste la sua nel veder la mamma oggetto di sospetti, rimproveri, urla e botte. Aggrappata alla mamma, impaurita dal babbo, Annetta imparò a frequentare, a rifugiarsi nella chiesa del paese ogni mattina, prestissimo, a piedi nudi camminando per la “via dei carri”.
Entrata giovanissima nell’Istituto Farina delle Suore Maestre di S. Dorotea di Vicenza passò dalla cucina, alla lavanderia, alla cura dei bambini malati del reparto di isolamento e poi alla cura degli ammalati e soldati feriti della Grande Guerra.
Sperimentò la profonda bellezza e verità di parole come “obbedienza, povertà, umiltà, silenzio, premura”. Scelse sempre il posto meno ambito, il lavoro più faticoso, il servizio generoso e privo di lamento.
Nei quindici anni della sua vita ospedaliera, Suor Bertilla passò per tutti i reparti lasciando ovunque lo stesso caro e santo ricordo. Nei reparti dove veniva inviata era, quello di Suor Bertilla, un andare instancabile e mite. Un darsi senza riserve: completo, nascosto, con un sorriso costante e mesto.
Sentiva come suoi i dolori degli altri. Davanti alle umiliazioni, talvolta delle stesse consorelle, reagiva con silenzio, qualche volta col pianto. Ma non protestava. Delicatissima e attenta fino all’ultimo alle esigenze altrui, nei giorni estremi, si preoccupava che le consorelle non stessero a “perdere tanto tempo per lei”!.
Per lei erano uguali i ricchi e poveri, giovani e vecchi, buoni e cattivi, dal momento che nell’altra vita non si portano “né soldi, nè bagagli, ma solo l’anima pulita o sporca”.
Ad appena 34 anni fu operata per un tumore e fu subito chiaro che per Suor Maria Bertilla non c’era più nulla da fare. A tale notizia ci fu un accorrere di primari, medici, infermieri, gente comune dalla città e dalla periferia, consorelle…La sera del 20 ottobre 1922, con le parole che ormai uscivano a stento, rivolgendosi alla superiora generale disse: “Dica alle sorelle che lavorino solo per il Signore, che tutto è niente”.
Un mese dopo la morte il cappellano dell’Ospedale di Treviso scriveva un primo articolo nel quale faceva risaltare le straordinarie qualità umane e spirituali della futura Santa. La tomba nel cimitero di Treviso fu, da subito, oggetto di visite continue. Persone che ringraziavano, imploravano, si affidavano alla intercessione celeste di S.M. Bertilla. Grazie agli emigranti la devozione si propagò non solo nel Veneto ma anche in America ed Australia.

La Gratitudine 13/10/2019

LA GRATITUDINE

13 Ottobre 2019

Gesù ascolta l’invocazione di dieci sventurati lebbrosi e li guarisce. Solo uno di loro ritorna per ringraziarlo ed è uno straniero, un Samaritano.
I nove che non tornano recuperano solo la salute; il Samaritano trova anche la fede che darà alla sua vita un senso nuovo.
Triste comportamento, eppure non così infrequente, quello di chi, pur ricevendo un grande beneficio, sembra scordarsi del benefattore.
La gratitudine è cosa difficile da coltivare. Non a caso i genitori si sforzano di insegnarla ai figli fin da piccoli. Con il crescere dell’età, proprio quando si diventa ancor più debitori nei confronti di un sempre maggior numero di persone, la gratitudine pare svanire, quasi a scomparire.
Ringraziare è riconoscere che non ci si è fatti da soli!
Quanti genitori, educatori, animatori si danno continuamente da fare per il bene dei figli o dei giovani loro assegnati!
Un semplice “Grazie”, accompagnato magari da un bacio o da un sorriso può ricompensare il lavoro di una vita, può lenire una ferita, può ridare slancio per continuare.
Oggi c’è chi non crede ai miracoli e si dichiara diffidente. Ma i miracoli avvengono anche oggi, anche se apparentemente sembrano meno numerosi. Certo, ci si può domandare perché in alcuni casi la preghiera ottiene il miracolo e in altri no. La risposta in realtà potrebbe darla solo Dio in persona.
Ogni malattia, specie quelle devastanti, ci mettono a nudo e ci costringono a riflettere sulla precarietà della vita, a non collocare tutta la nostra fiducia e sicurezza nelle cose di questo mondo.Soprattutto si fa Preghiera, Invocazione, Grido di Pietà: “Gesù, Maestro. Abbi pietà di me!
La vita non può che essere racchiusa in un grande Grazie perché tutto ciò che abbiamo lo abbiamo ricevuto.

Fino a quando, Signore? 06/10/2019

FINO A QUANDO, SIGNORE ?

6 Ottobre 2019

Nella prima lettura odierna incontriamo il profeta Abacuc che, scoraggiato, si rivolge al Signore dicendo: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti? Perché, Signore, non intervieni e cambi il corso degli eventi? Perché non risolvi i problemi che ci assillano?”
Il Signore risponde al profeta assicurando il suo intervento. Rincuorato, il Profeta Abacuc arriverà a dire: “Ciò che tarda, verrà”. (Ab 2,3).
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo invita Timoteo a non lasciarsi prendere dalla timidezza, a non vergognarsi di dare testimonianza, ad avere forza nonostante le difficoltà, a soffrire insieme a lui, che ora è in carcere a causa del Vangelo.
Di fronte alle imperative parole di Gesù che invita a perdonare sempre, gli apostoli chiedono: “Accresci in noi la fede!”
Gesù li rimprovera dicendo loro: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: sradicati e vai a piantarti in mare ed esso vi obbedirebbe”. Gesù pare dire: La fede o c’è o non c’è. Non è una questione di quantità. Ma quando c’è, per piccola che sia, essa è potentissima.
Nel Vangelo di Luca, infine, Gesù ci presenta la parabola dell’agricoltore padrone che ama sedere a tavola ed essere servito dai suoi servi.
Gesù ci dice che Dio non si comporterà come questo padrone. Nel Regno dei cieli sarà Dio a cingersi i fianchi e a servirci a tavola: noi saremo commensali di Dio, non suoi servi.
Oggi Gesù incoraggia ogni uomo e ogni donna a chiedere una fede più forte e più grande, ma, in concreto ci dice: Basta la fede che avete, rendetela però più ferma ed operante. Siamo dunque invitati a tenerci stretta la fede ricevuta in famiglia e vissuta nella nostra comunità parrocchiale. La fede si ottiene aprendoci all’amore di Dio.
Noi ci fidiamo o ci affidiamo solo a quelli che amiamo.
Se amiamo Dio e ci fidiamo di Lui troveremo facile e gioioso credere e contagiare altri a fare lo stesso.
CHI NON CREDE non alza alcun grido verso l’alto, si limita a maledire la vita.
CHI CREDE non può non coinvolgere Dio negli interrogativi più tragici, nei momenti più drammatici e concreti della vita.

Lieto messaggio annunciato ai poveri 29/09/2019

LIETO MESSAGGIO ANNUNCIATO AI POVERI

29 Settembre 2019

La parabola di oggi è nota: il povero che chiede pane ed è scacciato dal ricco; la morte che dona al povero la consolazione e al ricco il tormento. A chi non ha offerto il pane in questa vita non sarà data neanche una goccia d’acqua nell’aldilà.
Il povero Lazzaro è un mendicante che conosce la polvere delle porte dei ricchi e aspetta di raccogliere ciò che cade dalle tavole dei banchetti.
Alla sua morte verrà accolto “Nel seno di Abramo” non come ricompensa per una vita sofferta ma per l’affermazione del primato dei poveri nel regno di Dio. Lazzaro, dalle piaghe leccate dai cani, è infatti chiamato per nome e raggiunge la consolazione.
Il ricco, abbagliato dal potere del denaro, impartisce ordini perfino ad Abramo e Lazzaro, come fossero suoi servi. La sua preoccupazione è unicamente per la propria salvezza o, al limite, per i parenti più stretti.
Che insegnamento riceviamo da questa pagina del Vangelo?
Le diseguaglianze distruggono le società e fanno precipitare il senso di umanità. Per chi racconta questa parabola Gesù? per quelli che vivono tranquilli e pensano che i poveri non esistano.
Chiudere le porte di casa rende più misero chi è già povero ma fa vivere nella paura chi è imprigionato nelle proprie sicurezze materiali.
La parabola di Gesù ci assicura che Dio è un giudice giusto, che a tempo debito, darà a ciascuno il suo. Ricco e povero sono vicinissimi, ma il ricco neanche si accorge di Lazzaro che giace alla sua porta.
Dio ama il povero non perché sia migliore del ricco, ma semplicemente perché è povero, cioè in una posizione di inferiorità, di bisogno, probabilmente di ingiustizia subita. E noi da che parte ci troviamo?
Sappiamo vedere Lazzaro che giace alla nostra porta (poveri, svantaggiati, esclusi..) o viviamo anche noi senza aprire gli occhi?
Il problema è vedere bene oggi perché oggi c’è ancora tempo!

Il tesoro più prezioso 22/09/2019

IL TESORO PIU’ PREZIOSO

22 Settembre 2019

Il Vangelo di questa domenica propone una parabola curiosa ed imbarazzante – quella dell’amministratore infedele, disonesto, ma furbo ed intraprendente – per invitare i suoi discepoli ad essere più dinamici e inventivi nella costruzione del Regno di Dio. I loschi affari dell’amministratore sono venuti alla luce e lui non esita a falsificare bilanci e fatture. E’ un uomo senza scrupoli che agisce per difendere se stesso e garantirsi un futuro.
Il padrone non lo loda per l’imbroglio ma per la scaltrezza.
Come ragiona questo uomo corrotto? “Sto per essere cacciato, perderò lavoro e guadagni. Che cosa farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare non ne ho la forza; mendicare mi vergogno”.
Chiama i debitori del padrone e fa modificare le ricevute regalando grossi sconti. Favori che un giorno qualcuno gli restituirà.
Gesù commenta: “I figli di questo mondo, infatti, sono più scaltri dei figli della luce”. Gesù vuole che i suoi discepoli mettano la stessa prontezza, la stessa lucidità, la stessa fantasia, a servizio del Regno di Dio.
Non vi è, in questa pagina del Vangelo, la condanna della ricchezza o del mettersi in affari. Ma quella di darsi a traffici illeciti e costruire per sé una ricchezza ingiusta magari a spese degli altri, soprattutto dei poveri.
Vi è spesso, nella considerazione delle persone che contano, un certo atteggiamento di sufficienza, per non dire di disprezzo, verso coloro che sono fedeli nel loro impegno quotidiano.
La Chiesa, per bocca di alcuni Papi, ha dichiarato che non è possibile dirsi cristiani ed essere dei corrotti, dei disonesti, dei mafiosi, dei camorristi.
Le ricchezze di questo mondo hanno un unico fine: portare dalla terra al cielo. Siamo tutti invitati ad usare la ricchezza per farci dei fratelli perché c’è un solo Padre e noi siamo tutti fratelli.
La vita terrena è un banco di prova. La nostra vera ricchezza è la vita eterna, che si acquista qui, su questa terra, donando.
Servirci del denaro SI’. Ma essere servi del denaro NO.

Bisogna davvero far festa 15/09/2019

BISOGNA DAVVERO FAR FESTA

15 Settembre 2019

Il tema principale di questa domenica è la festa per aver ritrovato ciò che era perduto. Ma è un crescendo: prima uno su cento, poi uno su dieci, infine uno su due! Se ritrovi una pecora su cento sei contento. Se ritrovi una moneta su dieci sei felice. E se il Padre ritrova un figlio perduto, non dovrebbe fare ancora più festa?
Ecco perché faccio festa coi peccatori – dice Gesù – perché così fa Dio.
Perché vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte; perché questo “vostri fratelli” erano perduti e sono stati ritrovati”.
Il cuore di Dio, che è Padre e ama tutti i suoi figli, buoni e cattivi, giusti e peccatori, non si dà pace se ne perde anche uno solo. Non si dà pace finché non lo ritrova. E fa festa per ogni ritorno a casa.
Non facciamo così anche noi quando perdiamo una cosa preziosa?
E non dovrebbe fare così un padre per suo figlio?
Nella parabola del “figlio spendaccione” colpisce la libertà del padre che non si lascia dominare dal merito e adotta un cuore misericordioso.
Il padre non chiede nulla al figlio che ritorna ma lo avvolge con un abbraccio paterno che sa di amore vero, di libertà autentica.
Lo ha atteso, lo considera ancora e sempre suo figlio.
Non lo rimprovera, non gli permette neanche di scusarsi.
La decisione del figlio di tornare a casa nasce anche dalla sofferenza di un’esperienza negativa, dalla delusione, dall’aver sbattuto il naso contro il muro. E’ uno sconfitto, ha capito la lezione. D’ora in poi sarà un uomo diverso, con un’esperienza alle spalle che lo ha fatto maturare.
E’ commovente vedere il padre che è in continuo movimento d’uscita per abbracciare, accogliere ed aiutare il figlio maggiore ad avere uno sguardo diverso nei confronti del fratello minore. La ricchezza talvolta divide e allontana. L’amore, al contrario, perdona, unisce, fa risorgere.
Questo è il Vangelo, la novità, il vino nuovo capace di rinnovare il mondo e le persone che lo accolgono.