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Non è bene che l’uomo sia solo 7/10/2018

NON E’ BENE CHE L’UOMO SIA SOLO

7 Ottobre 2018

Nel progetto originario della creazione Dio ha voluto che l’uomo, creato a sua immagine, non fosse solo. Il “male originale è la solitudine” e Dio ha pensato all’uomo dicendo: “Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gn 2,18). Ha creato così la donna affinchè tra i due si stabilisse una relazione di reciprocità e fossero “un’unica carne” (Gn 2,24). In principio ci fu quindi un sogno, bellissimo: che l’amore fosse per sempre. Non è il matrimonio, tuttavia, che rende felici le persone, sono le persone che possono rendere felice il matrimonio, se scommettono e contano sull’amore.

Nonostante la facilità a tradire, nonostante le crisi e le fatiche che tante coppie incontrano nella vita coniugale, il matrimonio rimane sacramento di salvezza possibile e vicina. Sono gli uomini che, nel loro cammino, a causa di stanchezze, fallimenti, tradimenti, si sentono inadeguati nella risposta all’amore incondizionato e appassionato di Dio. Il progetto di Dio si scontra con una realtà fatta spesso di fragilità, crisi, cadute, separazioni, fino a nuove unioni. Perché avviene tutto questo? Qualcosa nel matrimonio si incrina, un rancore che non si scioglie, un litigio che varca il limite, il silenzio della stanchezza, un tradimento. Vi sono poi matrimoni che proseguono ma solo per salvare apparenze e facciata.

Gesù, il Maestro che tutti conosciamo, colui che ha banchettato coi peccatori, con gli esattori delle tasse, comprensivo con figlio prodigo, con le prostitute, con la samaritana dalle cinque unioni, dice: “L’uomo non divida quello che Dio ha unito” (Mc 10,9).

Il matrimonio riuscito non è quello dove i piatti non si rompono mai, ma quello dove la forza di costruire insieme un rapporto solido prevale sulla tentazione di mandare tutto quanto a gambe all’aria. Due persone non possono andare così d’accordo da non ferirsi mai. E’ allora che deve prevalere la volontà d’amare.

Papa Francesco ha detto: “Potete anche rompere i piatti, ma prima che giunga la sera avvicinatevi al vostro coniuge e fate la pace”.

I coniugi credenti debbono essere consapevoli che il matrimonio è sacramento, sacramento che è salvifico, che aiuta e sorregge.

Nella nostra vita quotidiana vi sia, tuttavia, da parte delle nostre comunità, la chiamata ad accogliere, con rispetto e apertura di cuore, i tanti casi dolorosi di separazioni e divorzi. Negli ultimi decenni la chiesa, anche attraverso movimenti quale “Incontro Matrimoniale Retrouvaille”, offre la possibilità di superare i problemi di coppia e salvare un matrimonio. E’ una mano tesa ma, anche in tale caso, occorre sempre la “volontà d’amare”.

Imparare ad amare

IMPARARE AD AMARE

30 Settembre 2018

Oggi la Parola di Dio ci esorta alla tolleranza.
A Giovanni e agli apostoli, che non accettano che altri possano compiere guarigioni, Gesù dice loro: “Chi non è contro di noi, è per noi”. (Mc 9,40).
L’impegno di seminare il bene nel mondo non è esclusivo dei cristiani.
Possiamo forse provare gelosia nei confronti di alcuni nostri fratelli che si adoperano per il bene ma che non vengono mai in chiesa?
Le parole di Gesù sono davvero consolanti quando dice: “Chi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome a uno qualunque non perderà la sua ricompensa” .
E’ doveroso quindi riconoscere il bene che c’è in ogni persona. C’è tanta gente che in ogni parte del mondo compie il bene con animo disinteressato, senza aspettarsi, il più delle volte, un semplice grazie.
La chiesa, spiega Gesù, è di tutti, tanto dei santi quanto dei peccatori.
Nell’amore ci deve sempre essere spazio per il perdono e per la benevolenza verso tutti.
“L’amore sa aspettare, anche a lungo, fino all’ultimo. Non diventa mai impaziente, non vuole affrettare o costringere. Conta sui tempi lunghi…
Aspettare con pazienza, continuare ad amare ed essere benigno..(D. Bonhoeffer).
Gesù usa poi parole durissime contro chi scandalizza i piccoli. “Tagliare la mano, il piede, togliere l’occhio ecc. per non essere di scandalo”. E’ chiaro che Gesù non invita a mutilarsi per evitare il peccato. A Gesù interessa una vita nuova. Chiede di liberarsi da tutto ciò che diventa di ostacolo al vivere bene con Dio e i fratelli.
Gesù ha a cuore i piccoli nella fede, le persone indifese, incapaci di rispondere. Tra questi troviamo i bambini spesso vittime di un ambiente diseducativo creato dagli adulti, coinvolti nelle crisi delle loro famiglie in difficoltà.
S. Giacomo, nella seconda lettura, alza duramente la voce contro i ricchi ingiusti che accumulano beni su beni e costringono i lavoratori a vite miserabili. Ha parole di fuoco contro coloro che vivono nel lusso più sfrenato ignorando gli altri, i più svantaggiati.
Questa parola è per tutti noi un pugno allo stomaco. Dobbiamo, tuttavia, guardare con riconoscenza a quei ricchi che mettono a disposizione i loro beni a favore della comunità, dando lavoro, creando nuovi posti di lavoro, aiutando l’umanità a crescere.

Come un bambino 23/09/2018

COME UN BAMBINO

23 settembre 2018

A tutti fa piacere essere primi, essere visti, essere al centro delle attenzioni e sguardi altrui. Tutti noi desideriamo essere ammirati, benvoluti, desiderati.
Gesù ci insegna, invece, la logica della donazione e dell’amore offerto generosamente. Gesù ci dice di non servirci degli altri per emergere, primeggiare, scavalcare e sopraffare.
Gesù va giù di brutto e ci chiama a scegliere l’ultimo posto, a scegliere la strada del servizio. Gesù, rivolgendosi agli apostoli sempre in cerca di posti di prestigio, dice: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Gesù rivolge queste parole mentre si sta avvicinando a Gerusalemme dove sarà condannato a morte. I suoi amici sono disorientati e pensano solo ai posti di onore: a tavola, nelle sinagoghe, per strada, nelle assemblee.
Gesù propone sè stesso come modello: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). A questo punto Gesù, con un gesto a sorpresa, chiama un bambino e lo mette in mezzo al gruppo degli apostoli dicendo: “Se ci tenete tanto a diventare grandi agli occhi di Dio e occupare i primi posti, dovete diventare come questo bambino”. Gesù non lo fa per suscitare tenerezza ma per ribadire che il bambino non conta, è ai margini, non ha potere. Tale era allora ( e lo è anche oggi in molte parti del mondo) la condizione dei bambini. Non erano amati i bambini ai tempi di Gesù. Erano tanti, chiassosi e gli adulti non vedevano l’ora che varcassero la soglia dei dodici anni, età in cui passavano al rango di adulti. I bambini si fidano, non temono “imbrogli”, non fanno calcoli, non si domandano se e quanto ci guadagneranno. Proprio perché sono piccoli essi sono spesso indifesi, oggetto di strumentalizzazioni, incapaci di ribattere, di far riconoscere i propri diritti di persone.
Gesù chiede ai suoi apostoli di cambiare dentro, di operare una conversione, di acquisire la mentalità senza calcoli dei bambini.
Il nostro pensiero oggi non può non andare alle persone che lavorano in campo educativo. Specialmente di questi tempi non è facile essere maestra, insegnante, allenatore, educatore, genitore, catechista…
La fatica dell’educazione Gesù l’ha battezzata con il nome di “servizio”.
Non è una parola facile e confortevole. E’ però una grande sfida.
Maria Montessori, la grande pedagogista moderna, sognò che il mondo dovesse passare proprio per la formazione di educatori solidi e determinati.
Un brano evangelico recita: “Chi accoglie un bambino accoglie Dio in persona”.

Vivere è rischiare

VIVERE E’ RISCHIARE

16 Settembre 2018

Nel Vangelo odierno Gesù ci chiede: “Voi chi dite che io sia?” (Mc 8,29).
Pietro dirà: “Tu sei il Cristo”. Ognuno di noi può rispondere: Sei un camminatore instancabile, impolverato, che gode dell’amicizia, coraggioso che osa toccare i lebbrosi, che salva l’adultera dal linciaggio, che ha compassione per le folle senza pastore, che ama i banchetti, che guarisce, che consola, che ama la vita bella, buona, felice …
I suoi discepoli, che con Lui hanno vissuto, testimoni dei suoi successi, miracoli, parole sono sinceramente compiaciuti e soddisfatti.
E’ facile capire la loro delusione e l’abbandono nel momento in cui Gesù parla dell’imminente croce che dovrà affrontare. Si aspettavano un trionfo, la libertà per Israele e invece sentono parlare di morte, di una morte in croce!
Gesù, anche oggi, ripete a ciascuno di noi: “Prendi anche tu la tua croce e seguimi”.
Il dolore è il prezzo delle cose. Cosa vale un amore che non costa niente e che amicizia è quella che non domanda fatica? Prendere la croce non significa semplicemente accettare. Significa: afferrare la croce con fede.
Gesù sa che la croce sarà per lui l’occasione per portare fino in fondo il piano di Dio. Egli non ama la croce, ha paura della croce.
Il Cardinale Carlo Maria Martini ha detto: “Ho conosciuto Gesù sin dalla mia prima adolescenza e ne sono stato grandemente affascinato, me ne sono innamorato. Ho avvertito subito che con una figura così non è possibile scherzare: o si prende tutto o si rifiuta tutto”.
Come cristiani siamo sollecitati ad intraprendere un rapporto nuovo, diverso con Gesù e capire che fare amicizia con Lui non è solo qualcosa di speciale, è piuttosto dare un senso pieno alla vita.
Seguire Cristo può voler dire essere disposti a perdere umanamente tutto. I nostri ragionamenti umani possono diventare di inciampo agli altri: ogni volta che, come Pietro, consideriamo la sofferenza e la morte come un pericolo da vivere, diventiamo di scandalo.
La logica di Gesù è senza dubbio una logica vincente, ma solo nella prospettiva della fede. La risurrezione, che è una realtà esaltante, passa attraverso la croce.
Non si arriva alla risurrezione scavalcando la sofferenza, ma accettandola.
La croce, che era il supplizio degli schiavi, è diventata il simbolo di chi si fa servo degli altri, così come ha fatto Gesù.

Ascoltare …. quindi ….. Amare ! 09/09/2018

ASCOLTARE …. quindi ….. AMARE!

9 Settembre 2018

Il miracolo della guarigione di un sordomuto, descritto nel Vangelo odierno di Marco, non è tra i più noti e Gesù lo compie in una regione abitata da gente pagana. Ai tempi di Gesù le malattie erano considerate un castigo di Dio, conseguenza del peccato.
Essere affetti da sordità non è solo deficienza fisica: è esclusione dagli altri uomini, è il grido di aiuto che resta inascoltato, è stare ad un angolo della strada ad elemosinare avendo l’amara certezza che non importi a nessuno, perché nessuno si ferma davanti a te. La sordità era considerata addirittura una maledizione perché impediva di ascoltare la Parola del Signore che veniva letta nelle sinagoghe. Gesù, mentre compie il miracolo, esclama nella sua lingua “Effatà” che significa “Apriti”. La parola non è rivolta all’orecchio, ma a tutta la persona del sordomuto, che d’ora in poi potrà aprirsi all’ascolto. Detta parola, ripetuta dalla Chiesa nel rito del Battesimo, è un invito a spalancare il cuore e a lasciar entrare Cristo e il suo Vangelo nella nostra vita.
Chi sono i veri sordi del nostro tempo?
Non solo chi non “sente” ma anche chi non sa “ascoltare”.
Ascoltare è arte difficile che coinvolge sguardo, cuore, intelligenza; è vestire, oltre ai propri, i panni degli altri, è capacità di amare.
La parola oggi ci invita ad aprirci al dono gratuito dell’amore di Dio rivolto a tutti. Il miracolo operato da Gesù verso il sordomuto, espressione dell’amore di Dio e dell’amore per il povero, è fonte di speranza e dignità per ogni uomo, in qualunque angolo della terra si trovi e in qualsiasi condizione viva.
Per il solo fatto di essere uomo questi merita il nostro ascolto, è degno del nostro interesse. Se manca la volontà di “Ascoltare” manca la volontà di amarsi.
In quante famiglie oggi si parla tra sordi! Quanti figli perduti, partiti dalle nostre case! E forse bastava prestare solo un po’ di ascolto.
Nella nostra vita attraversiamo inevitabilmente situazioni di smarrimento.
Come vorremmo in tali situazioni avere una parola d’incoraggiamento, un invito alla speranza, una mano tesa. Invece ….. Chi non ha sperimentato su di sé lo smarrimento e la prova difficilmente perde tempo a curvarsi sulle fragilità altrui. Siamo invitati ad essere disponibili e aperti nei confronti di chi ci parla e di chi ha bisogno di una nostra parola per sentirsi vivo.
“Un grande gesto d’amore che possiamo e dobbiamo rendere ai fratelli è quello dell’ascolto. Chi non sa ascoltare il proprio fratello presto non saprà ascoltare Dio” (D. Bonhoeffer).

Cambiamento, Adesione 26/08/2018

CAMBIAMENTO, ADESIONE

26 Agosto 2018

Nocciolo fondamentale della predicazione del Regno da parte di Gesù è il cambiamento, il mettersi nel cammino del Cristo.
Già nella prima lettura tratta dal libro di Giosuè viene ricordato quanto il Signore ha compiuto per il suo popolo fino all’ingresso nella terra promessa.
La storia di Israele ci insegna però che la promessa di seguire il Signore verrà continuamente tradita. Il popolo si lascerà andare al culto di altri dei e vagherà nel deserto per quarant’anni.
In ogni tempo la Parola provocatoria di Gesù divide gli animi e determina delle scelte pro o contro di Lui. Anche alcuni dei suoi discepoli se ne andranno via dicendo: “Questa parola è dura” (Gv 60,60).
Nel Vangelo odierno Gesù pone ai suoi discepoli una domanda fondamentale: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67). Solo Pietro, testa dura, anche a nome dei dodici, dirà: “Signore, da chi andremo? Solo Tu hai parole di vita eterna.” (Gv 6,68).
Non c’è cambiamento e adesione a Cristo se non c’è trasformazione, crescita, rischio. Chi si pone al seguito di Gesù è dunque chiamato alla memoria del passato, alla consapevolezza del presente ed alla costruzione del futuro.
Gesù rispetta sempre la libertà, non obbliga nessuno a condividere le sue scelte, non li costringe a “mangiare la sua carne”.
Gesù non forza, rispetta i tempi di maturazione di ognuno di noi.
Si tratta solo di accoglierLo nella sua Parola, di fidarsi di Lui anche quando non tutto è chiaro, anche quando i fatti ci sconvolgono e ci travolgono.

FIDUCIA, TENEREZZA E LIBERTA’

2  Settembre 2018

Nel Vangelo odierno leggiamo che Dio si lamenta dell’uomo! Perché?
Perché l’uomo ha il cuore lontano, assente, altrove.
Che cosa sta a cuore di Dio riguardo la nostra esistenza?
A Dio interessa prima di tutto e soprattutto il cuore dell’uomo da cui hanno origine le nostre azioni cattive.
In questo spazio può e deve attuarsi la nostra conversione alle ragioni del bene. Solo così apriremo la strada ad una relazione con Dio, intessuta di fiducia, tenerezza e libertà.
Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
Con tale sentenza Gesù chiude la bocca agli scribi e ai farisei vincolati al rispetto di centinaia di piccoli gesti quotidiani.
Il pensiero di Gesù è chiaro. Va rifiutata ogni forma di religiosità puramente formale, esteriore, rituale, abitudinaria, che non nasca dal cuore.
San Giacomo, nella seconda lettura odierna, ci dice che la vera religione è:  “Visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarci contaminare da questo mondo” (Gc 1,27).
Sta ad ognuno di noi fare un piccolo esame di coscienza ed allargare il campo di azione. E’ davvero difficile scorgere le nuove povertà?

 

Quando la strada si fa dura 12/08/2018

QUANDO LA STRADA SI FA DURA

12 Agosto 2018

Nel corso della nostra vita ci capita mai di sentirci così stanchi e scoraggiati, così disperati da rivolgerci al Signore e dire: “Ora basta, prenditi la mia vita”?
La vita del profeta Elia, di cui ci parla la prima lettura, è la vita di ognuno di noi; come Elia anche noi arriviamo a dire: non ce la faccio più, è sempre la stessa cosa, non cambia nulla. Il cammino su questa terra ci appare difficile, troppe croci da portare, troppe delusioni, non solo familiari, ma anche professionali, di impegno sociale e politico.
Ma … ecco che Dio interviene!
Non ci toglie la fatica, non risolve i nostri problemi ma ci dona le cose essenziali, semplici, povere: il pane, l’aria, l’acqua, un amico, la forza di camminare ancora un altro po’ e la voglia di ricominciare.
Al profeta Elia, nel deserto, apparve un angelo a procurargli pane ed acqua. Noi, che di angeli ne vediamo pochi in giro, possiamo contare sulle persone che vivono al nostro fianco, capaci di attenzioni, cure, amicizia, voglia di vivere.
Quando l’uomo non ce la fa più, c’è un’ultima risorsa: Il vento di Dio che spinge in avanti la barca meglio di quanto possano fare i colpi di remo.
Sentiamo nostro l’invito ad imitare il comportamento di Dio e a vivere nella benevolenza, nella misericordia e nel perdono come ha fatto Cristo.

L’INVITO DI GESU’ 

19 Agosto 2018

Per quattro domeniche il dialogo sul “Pane di Vita” ci ha accompagnati ed ora giunge al vertice. Gesù invita i Giudei a “mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue”, facendo un chiaro riferimento all’Eucaristia che la Chiesa da duemila anni celebra e che ci fa crescere come cristiani e come comunità.
Di fronte allo stupore e alla incredulità dei Giudei, e forse anche nostra, Gesù, per ben otto volte, nel Vangelo odierno, dice di voler donare qualcosa di sé agli altri: Prendete, mangiate, bevete, vi resusciterò.
Gesù agisce conoscendo bene la fragilità e la debolezza della carne umana: la vita è come il fiore del campo, il mattino fiorisce, la sera è già secco.
Le parole di Gesù sono molto chiare: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” (Gv 6,53).
E noi cosa dobbiamo fare?
Saremo anche egoisti ma di questo amore, di questi doni ne abbiamo tutti un gran bisogno.

PANE PER TUTTI  29/07/18

PANE PER TUTTI 

29 Luglio 2018

Oggi la liturgia ci propone uno dei miracoli più famosi di tutto il Vangelo; una inaspettata abbondanza di pane e pesci per migliaia di persone.
Ancora una volta il nostro Buon pastore è seguito da una grande folla per la quale sente compassione. La moltitudine di uomini e donne lo ha seguito a lungo senza stancarsi e ora ha sicuramente fame.
E’ Gesù che provoca gli apostoli e li sfida a dar da mangiare a questa massa enorme di persone. Sarà la generosità di un ragazzo “cinque pani d’orzo e due pesci” che offrirà a Gesù la materia prima per il miracolo. Tutti si sazieranno e, alla fine, verranno raccolti dodici cesti di avanzi.
Questa abbondanza di cibo ci indica l’amore traboccante di Dio verso l’uomo, amore che non ha limiti e che non si ferma neanche di fronte allo straordinario pur di manifestarsi.
Come sentirci oggi coinvolti da questo miracolo?
Ognuno di noi è chiamato a mettere a disposizione di Dio quel poco che ha e il Signore interviene moltiplicando a dismisura il nostro dono.
E’ un forte richiamo a vivere solidali. Nel mondo milioni di bambini e uomini muoiono ogni anno di fame eppure “a Milano vengono buttati 400 quintali di pane al mese. E nessuno li vuole” (Corriere della Sera). In Inghilterra un terzo della spesa finisce nella spazzatura.
Già il Concilio Vaticano II ebbe a dichiarare: “ Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, e tuttavia una gran parte degli uomini è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria. Mentre folle immense mancano dello stretto necessario, alcuni vivono nell’opulenza e dissipano i beni” (Gaudium et Spes N. 4 – 63).
Sosteniamo la Caritas Parrocchiale che ogni ultima domenica del mese raccoglie generi di prima necessità (latte, olio ecc.) all’interno delle quattro chiese. E’ un piccolo, concreto aiuto alle famiglie in difficoltà.

UN ALTRO PANE

5 Agosto 2018

Dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, di domenica scorsa, Gesù oggi invita la folla a riflettere su Colui che ha compiuto questo prodigio e ad aprirsi ad “ un altro pane “che sfamerà per sempre.
Già nella prima lettura sappiamo che Dio ha nutrito il suo popolo, in fuga dall’Egitto verso la Terra Promessa, con la manna e con le quaglie.
Gesù, alla folla sazia per il pane mangiato, fa l’invito a darsi da fare non per ottenere ancora quel pane materiale destinato a perire, ma ad aprirsi a Lui, che può dare un pane “che dura per la vita eterna “
Alla folla incredula Gesù dirà: “Io sono il pane che discende dal Cielo, mandato dal Padre e che dà la vita al mondo! Pane che sfama per sempre”
Quale insegnamento possiamo trarre dal Vangelo odierno?
Oggi abbiamo tutti il necessario per vivere. Molte associazioni di volontariato provvedono ai meno abbienti. Ci basta il benessere acquisito, il conto in banca, una bella macchina, la casa …
In compenso siamo denutriti nella fede. Non abbiamo il desiderio della ricerca, dell’approfondimento. Facciamo fatica a dare un senso alla nostra vita capace di spegnere la nostra fame e la nostra sete.
Ricordiamoci, però, che la vita non fa sconti a nessuno.
Diamoci da fare per costruire qualcosa di valido e abbandoniamo le fragili illusioni che quotidianamente inseguiamo.
“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere ma in ciò per cui si vive” (F. Dostoevskij).

PARTONO I DISCEPOLI, A DUE A DUE 15/07/2018

PARTONO I DISCEPOLI, A DUE A DUE

15 Luglio 2018

Sono forti di un Amico e di una Parola. Solo il bastone a sorreggere il cammino e un amico a sorreggere il cuore. E’ bello camminare insieme; talvolta ci si aspetta, talvolta ci si sprona. Perché, se è solo, l’uomo è portato a dubitare perfino di se stesso. Gesù aveva concesso ai suoi discepoli il potere di compiere miracoli, curando l’uomo nelle sue ferite fisiche e psichiche. Gesù chiede ai suoi amici il distacco dalle cose e il portarsi dietro solo lo stretto indispensabile. I discepoli che tornano dalla missione si sono ritrovati gli stessi poteri di Gesù e con gioia dicono: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”. (Lc 10,17).
Gesù non manda i suoi discepoli a predicare nel tempio o nelle sinagoghe, ma nelle case, ad incontrare famiglie, persone nei loro ambienti quotidiani di vita. Quasi a percepire in ogni casa i dolori e anche le gioie, le bellezze e le tristezze, le lacrime e i sorrisi. Gesù dice loro di non andare di casa in casa, quasi a voler dire che è possibile l’eventualità di un insuccesso.
Gesù, infine, dopo aver ascoltato tutto ciò che i discepoli riferirono disse loro:
“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”.
Gesù raccomanda di dedicare tempo alla preghiera e alla riflessione.
Tutti, nella Chiesa, siamo invitati a fare delle soste per ricaricarci, per riflettere, per purificare le nostre intenzioni.
Non possiamo dare sempre. Abbiamo bisogno di riflettere sulla Parola e quindi ripartire con maggiore slancio.
Benedetto XVI ha detto: “Bisogna aver l’umiltà di concedersi degli spazi di riposo”.
Il riposo ci fa capire che è più importante preoccuparci della qualità della nostra azione che non del numero delle iniziative che riusciamo a mandare avanti.

GESU’ EBBE COMPASSIONE DI LORO (22 luglio)

Gesù, “Buon Pastore”, dopo aver accolto con gioia i suoi apostoli di ritorno dalla prima esperienza missionaria li invita a riposare, Hanno bisogno di solitudine per valutare con maggior equilibrio il loro compito. Hanno bisogno di stare un po’ con Gesù per imparare e comprendere meglio il suo messaggio. Tuttavia, giunti all’altra riva del lago, trovano una grande folla che li circonda. Gesù prova grande compassione per quella gente, prova dolore per il dolore altrui, è turbato e si sente coinvolto.

Quella gente è alla ricerca di una guida, di una parola di speranza. Sono come pecore senza pastore, oppressi dalle tasse romane e dal giogo della legge: centinaia (ben 613 !) minuziose prescrizioni insopportabili.

Gesù parla loro di Dio come di un Padre, della sua bontà che provvede a ciascuno di noi. Ogni domenica anche noi “veniamo a Messa” per incontrare Gesù, ascoltare la sua Parola ed accogliere il Pane che lui ci dona. Che cosa ci spinge a raccoglierci attorno all’’ altare? Solo l’abitudine? O la ricerca di motivazioni che ci spingano a vivere meglio il nostro quotidiano?

E quanto più siamo feriti dalla vita, tanto più il cuore di Gesù si commuove per noi e segue le nostre tracce lungo tutti i sentieri in cui ci smarriamo, vite senza pastore. Non per rimproverarci ma per offrirci riparo e parlare al nostro cuore.

Non temere, soltanto abbi fede 1/07/2018

NON TEMERE, SOLTANTO ABBI FEDE (Mc 21,36)

1 Luglio 2018

Il brano evangelico della XIII domenica del Tempo Ordinario racconta due straordinari miracoli di Gesù che pongono l’uomo di fronte al problema della malattia e della morte.
Gesù, dopo aver comandato alle acque del lago di calmarsi, si sta recando alla casa di un capo della sinagoga, di nome Giairo, per guarire sua figlia di dodici anni.
Mentre cammina Gesù viene accostato e toccato da una donna ammalata.
Essa ha perso ogni speranza di poter guarire, ha “molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando”. Questa donna vede nella possibilità di incontrare Gesù l’ultima carta da giocare per poter riacquistare la salute e poter ritornare a vivere. E’ una donna piena di coraggio e di voglia di vivere, non è una rassegnata. Soggetta a continue perdite di sangue era considerata impura e viveva emarginata.
Nonostante ciò si avvicina a Gesù e tocca il suo mantello manifestando la sua fede. Di fatto Gesù la guarisce, senza medicine, senza parlare, senza gesti particolari, con naturalezza. Gesù la loda per la sua fede e il suo diritto di rientrare a pieno titolo nella sua comunità. E’ una donna disperata ma intraprendente e con la sua fede strappa a Gesù un miracolo.
Gesù continua il suo cammino diretto alla casa di Giairo per guarire sua figlia quando giunge al padre la notizia : “ Tua figlia è morta “. Ma, Gesù, che sta facendo un “viaggio verso la vita” invita il padre della bambina a non temere e gli dice: “Soltanto abbi fede”.
Quando Gesù giunge alla casa di Giairo la figlia è di fatto ormai morta. Gesù, fra lo stupore e gli sguardi ironici della gente, dice :La bambina non è morta, ma dorme”.
Invita quindi la bambina ad alzarsi e a camminare. Gesù si preoccupa e con parole affettuose invita i genitori a darle da mangiare.
Che insegnamento riceviamo da questa pagina del Vangelo?
La malattia è qualcosa di cui non riusciamo a comprendere pienamente il senso, è un mortificare la vita, è una limitazione che crea insofferenza, che porta spontaneamente più alla ribellione e alla bestemmia che alla serena accettazione, “Perché Dio, che può tutto e mi è Padre, mi lascia soffrire così?” L’ammalato ha bisogno della vicinanza di qualcuno che lo ami veramente, che gli dica con la sua presenza che anche Dio lo ama e che la malattia non è un castigo ma è una realtà che fa parte della condizione umana.
Chi è malato vive spesso una crisi di fede. Per questo dovrà chiederla a Dio, avvicinarsi a Gesù per toccargli il mantello; non solo per ottenere un miracolo ma per riuscire a continuare a credere nella bontà di Dio.
Chi è ammalato però deve anche cercare di dare un senso alla sua sofferenza, deve imparare a vivere in quella situazione di disagio: C’è una salvezza che si fa strada nonostante la malattia.
Chi non ha sofferto non conosce tutto della vita, non ha vissuto realmente. Sovente chi sta bene non riesce a capire, fino in fondo, chi sta male.
L’invito, per chi si trova nella sofferenza e nella malattia, è di continuare a camminare, a non fermarsi mai, a lottare con tutte le forze, ad avere fede.