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Costruttori del Regno 25/11/2018

COSTRUTTORI DEL REGNO

25 Novembre 2018

L’anno liturgico si conclude con la festa di Gesù Cristo, Re dell’universo.
Davanti a Pilato Gesù dà la più chiara affermazione dicendo: “ Io sono Re”.
Il governatore Pilato, corrotto e assetato di successo, aveva un potere assoluto. Trovatosi a giudicare Gesù gli disse: “ Dunque tu sei re? “
Gesù rispose: “ Io sono re, ma il mio regno non è di questo mondo “.
Che altro poteva dire Gesù per testimoniare la verità ?
La verità di Gesù si è dimostrata con parole, voce, scelte, rifiuti, gesti di martirio. Gesù non ha avuto né eserciti, né armi. Il suo primo trono fu la mangiatoia, l’ultimo la croce. Gesù non fa paura, non ha paura. Gesù ha rifiutato potere, gloria e onori. Gesù ha guarito, moltiplicato pani e pesci, perdonato, ma quando ha intuito che lo volevano proclamare re, si è ritirato in preghiera. Quando venne la prova non scappò. Da uomo vero accettò il processo, la condanna, prese la croce sulle spalle e soffrendo salì sul calvario per essere crocifisso.
Ora siede per sempre glorioso alla destra del Padre. La storia, la nostra storia avrà un termine e si concluderà con un giudizio. Gesù sarà il giudice.
Non sarà semplice reggere il suo sguardo quando saremo davanti a Lui.
Ma non dimentichiamo che Gesù è il Buon Pastore che accoglie la pecora che si è persa e perdona il buon ladrone che si è pentito.
Gesù ha inaugurato il Regno di Dio, oggetto della sua predicazione.
Un regno di pace e di fraternità, di rinnovati e solidi rapporti umani. Solo così possono venire eliminate le disuguaglianze, le povertà, la fame, le ingiustizie, le malattie.
Gesù ci ha insegnato lo scopo della nostra vita: diventare costruttori del Regno, prendendo posizione, interessandoci, pensando anche al bene degli altri.
Con Lui possiamo e dobbiamo avere un rapporto personale. Egli è il nostro Re e ci chiede di amarlo: “ Pietro mi ami tu più di costoro?” (Gv 21,15).
Confermiamo con la nostra mente, con i nostri gesti, con la nostra voce il nostro amore. Gesù si fa conoscere solo a chi lo ama: “ A chi mi ama mi manifesterò “ (Gv 14,21).
Quando recitiamo la preghiera del Padre Nostro, preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato, diciamo con fede: “ Venga il tuo Regno, Regno di verità, santità, grazia, giustizia, amore, pace “. Sono valori di cui l’uomo non cesserà mai, nonostante ogni delusione, di portarne nel cuore il desiderio e la nostalgia.
In questi tempi, tempi di grandi prove spirituali, economiche, politiche, cosmiche accogliamo Dio nella nostra vita; ci darà sapore, forza, consolazione.

Essere sempre pronti 18/11/2018

ESSERE SEMPRE PRONTI

18 Novembre 2018

Oggi, penultima domenica dell’anno liturgico, siamo invitati a guardare al futuro. L’attesa è quella della fine dei tempi, del ritorno di Cristo.
Gesù ci esorta a preparare questo incontro fidandoci delle sue parole e lasciandoci guidare dai segni che invitano all’attesa e alla vigilanza.
Nella prima lettura il profeta Daniele usa parole di consolazione per il popolo ebraico, segnato dall’oppressione, e assicura l’intervento del grande Principe, l’Arcangelo Michele. La salvezza è vicina, dice Daniele, e afferma con certezza che ogni fedeltà non resterà inutile, che nessuna sofferenza versata per Dio verrà dimenticata.
Anche gli apostoli Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, al Monte degli Ulivi, sentendo parlare dell’imminente fine del mondo e di sconvolgimenti cosmici, chiedono a Gesù: “Quando accadranno queste cose?” Gesù li rassicura dicendo che i giusti non hanno nulla da temere, ma devono solo attendere nella speranza. Dobbiamo tutti accettare e vivere ogni giorno come tempo di veglia, di attesa, di preparazione.
Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha provato una disgrazia, la malattia, la morte di una persona cara, una sconfitta nell’amore, un tradimento. Abbiamo tutti, poi, ricominciato a vivere, a credere, a sperare, a vedere oltre il muro, alla ricerca di una mano forte e sicura.
Gesù dice infine:”Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, eccetto il Padre”. (Mc 13.32).
Il futuro, il più delle volte, ci spaventa e preferiamo non pensarci. Altri hanno del futuro una fiducia illimitata e anche un po’ ingenua. Tutto sembra possibile. Coloro che vivono in modo pieno il loro tempo, quelli che si impegnano per gli altri e spesso si sentono soli, coloro che fanno del bene e soffrono l’emarginazione, un giorno saranno riuniti da Cristo.
Il Cardinale Martini scrive: “Il tempo, nel suo inesorabile trascorrere, genera angoscia e bisogno di fuga. Il tempo che passa risuona in noi come continua rivelazione di essere limitati, avviati senza scampo verso la morte. Di questo, in fondo, abbiamo paura e ce ne difendiamo in tutti i modi, Più spesso ci difendiamo non pensandoci… Sono tanti i modi di riempire il tempo: l’accumulo di denaro e la libertà di spenderlo, l’ambizione del dominio, della riuscita, del successo, la ricerca del godimento, la cura del proprio benessere”. Ci sarà per tutti, inesorabilmente e realisticamente, una fine. Sarà il trionfo di Dio ma anche dell’uomo giusto, perché verrà dato a ciascuno il suo: verrà asciugata ogni lacrima, risanata ogni ferita.
Che bella l’immagine descritta nel Vangelo odierno. Dopo la grande tribolazione Dio si metterà in cerca degli uomini e li radunerà “ dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo “ (Mc 13,27) Sentiamoci nelle mani di Dio, sicuri che si tratta di buone mani, forti, sicure, aperte…

La generosità del cuore 11/11/2018

LA GENEROSITÀ DEL CUORE

11 Novembre 2018

Oggi l’evangelista Marco ci presenta un Gesù molto severo e polemico verso gli scribi (dottori della legge) ambiziosi e avidi. A loro contrappone la generosità di una donna semplice, una povera vedova che offre al tempio tutto ciò che possiede.
Già nella prima lettura incontriamo il profeta Elia, coinvolto in una grande carestia, che chiede aiuto ad una vedova. Questa si fida del profeta e mette a disposizione quello che ha: un po’ d’acqua ed una manciata di farina. Da quel momento, in quella famiglia, non mancheranno più né la farina né l’olio.
Gli scribi, con cui Gesù polemizza, sono ricchi e se ne vantano. Occupano i primi posti nei banchetti, nei luoghi pubblici e sono venerati e rispettati.
A questi uomini Gesù contrappone “vede” un’umile vedova che si fa avanti e getta con discrezione, forse con vergogna, nel tesoro del tempio due monetine (pochi centesimi), tutto ciò che possiede, mentre i ricchi ne gettano molte. Avrebbe potuto dire: “una la tengo per me! Invece no!” La vedova, nella sua miseria, dà tutto ciò che ha, “tutto quanto aveva per vivere”, ricca solo di un cuore grande e pieno d’amore. L’offerta è insignificante ma la sua capacità di dono è totale.
Il ricco fa a Dio l’elemosina di ciò che avanza, del superfluo e mantiene intatti i suoi averi. Le vedove incontrate oggi donano ciò che le fa vivere.
Le protagoniste di questa domenica sono dunque due donne povere, senza nome, ferite nell’amore. Le vedove, ai tempi di Gesù, non erano protette, non erano in grado di difendersi e venivano sfruttate.
La parola di Dio ci dice anche che le vedove, insieme agli orfani e agli stranieri, erano tra le persone che godevano della protezione di Dio.
Gesù oggi ci dice: “State attenti a non praticare la giustizia davanti agli uomini per essere ammirati, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando fai l’elemosina non suonare la tromba. Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 1-4). La vera legge della vita, per chi considera le cose religiosamente, è quella del dono: chi conserva perde, chi dà ci guadagna. Gesù non misura quel che doniamo in cifre; la sua misura è una misura interiore.
Il sacrificio d’amore di Gesù ha generato e genera anche adesso, in tante donne e uomini, la forza di sperare contro ogni speranza.
Gesù, che domenica scorsa ha “sentito “ il povero cieco gridare e che oggi “vede” la povera vedova donare tutto quello che ha che cosa ci vuol dire?
Lui vede anche noi, le nostre povertà spirituali, le nostre miserie.
Ha lo sguardo su di noi e questo ci dona una grande fiducia: non siamo soli.

Amare, Amare, Amare 4/11/2018

AMARE, AMARE, AMARE.

4 Novembre 2018

Uno scriba, custode della Legge di Dio, domanda a Gesù quale sia il comandamento più importante e Gesù indica l’amore verso Dio e verso il prossimo. Ancora una volta Gesù viene “messo alla prova”.
Questo dialogo con lo scriba mette fine alle domande – trappola per Gesù.
Gliene hanno poste parecchie nel suo viaggio verso Gerusalemme; tutte maliziose e sempre per metterlo in difficoltà.
La domanda aveva un senso perché gli ebrei avevano ben 613 leggi da rispettare tra precetti grandi e piccoli. Già Mosè, nella prima lettura, presenta il primo dei comandamenti che gli ebrei reciteranno mattino e sera “Ascolta Israele”: un amore senza misura per Dio.
Gesù aggiunge: “ Il secondo è questo: amerai il tuo prossimo come te stesso”. E conclude: “Non c’è altro comandamento più grande di questi”. Gesù dà uguale valore ai due precetti, non dice quale sia più importante. Per “prossimo” Gesù intende proprio tutti, anche i nemici, anche gli odiati Samaritani.
Amiamo poi, anche noi stessi coi nostri limiti, le nostre debolezze, le nostre fragilità, i nostri tanti errori.

Amare dunque Dio sapendo che Dio ci ama come nessun altro, in modo unico, fedele e per sempre. Dobbiamo poi amare il prossimo. Non perché lo meriti, ma perché in ogni uomo c’è una traccia di Dio.
L’amore è la legge della vita. Dove non c’è qualcuno che ama, che si sacrifica e si dona, non nasce nulla di positivo.
Ma cosa vuol dire amare? Amare Dio significa accettare che sia Lui a condurre la nostra vita, a tracciare le nostre strade. Può capitare a tutti di cercare Dio,” chiamarlo, invocarlo e avere una sensazione di vuoto, di assenza, di fiducia mal riposta” (Salmo 20,7). Ma Gesù ci ha detto “Amerai” (Mc 12,31) per indicarci che amare è un’azione mai conclusa perché durerà quanto durerà il tempo.
Amare Dio con tutto il cuore significa dilatare il nostro cuore per poter amare il marito, la moglie, i figli, l’amico, il prossimo. Dio non ruba il cuore, lo moltiplica.
Come si sono comportati i Santi? Essi hanno preso sul serio le parole di Gesù e lo hanno amato sopra ogni cosa, mettendosi al suo seguito, abbandonando tutto per Lui.
S. Agostino: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato.. Mi hai chiamato, hai gridato e hai finalmente guarito la mia cecità.. ti ho gustato e ora ho fame e sete di Te”.
S. Teresa: “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi, chi ha Dio nulla gli manca, solo Dio basta”.
S. M. Bertilla: “ A Dio tutta la gloria, al prossimo tutta la gioia, a me tutto il sacrificio”.

Mendicanti di luce 28/10/2018

MENDICANTI DI LUCE

28 Ottobre 2018

La liturgia odierna ci parla di un povero sventurato, un mendicante cieco, di nome Bartimeo che, pieno di fede, invoca Gesù; ottiene la luce della guarigione e si mette al suo seguito. E’ l’immagine del vero discepolo di Gesù.
Bartimeo è una persona condannata all’emarginazione sociale. La convinzione ebraica legava la disabilità ad una punizione divina, a causa di peccati personali o ereditati.
Questo povero cieco, udita la folla festante che segue Gesù, “sente” il suo passaggio e grida: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Gesù non lo rimprovera, né lo zittisce, ma accoglie le sue parole come testimonianza della sua fede.
L’atteggiamento della folla è contraddittorio: prima è indifferente verso il cieco e gli dice di smetterla, poi lo incoraggia quando ormai Gesù lo ha visto e lo ha chiamato. Sono tante le persone che si infastidiscono di fronte alle urla di qualcuno in difficoltà, che non si muovono di fronte a degli infelici che chiedono un po’ di conforto.
Il cieco getta via il mantello: è da una vita che attende questo momento!
Quel mantello è tutto quello che ha: gli serve per dormire, come cuscino, per scaldarsi. Anche questa volta Gesù predilige e riempie di speranza e di attenzioni proprio chi è inadeguato, emarginato, piccolo. Di fronte al modo di agire di Dio corriamo il rischio di non vederci più, di non capire, di non trovare la strada della vita. In realtà si può essere ciechi e vederci benissimo sembra dire Gesù. Perché? Perché non abbiamo la luce della fede, perché non facciamo buon uso dei doni di Dio.
Ogni cristiano deve chiedere un po’ di fede, deve chiederla gridando: “ Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me!” Il cieco grida, strilla, invoca. Pregare gridando vuol dire non volersi arrendere. Pregare è vincere le difficoltà, lo scoraggiamento, il pessimismo; vuol dire continuare a lottare.
Invece quanta gente rimane muta, ferma, seduta sul ciglio della strada di fronte alle difficoltà, al buio della vita. La folla che di fronte al cieco non si scompone e non esce allo scoperto è immagine di tanti cristiani pallidi che mancano di coraggio, di amore, di attenzioni. Gesù ci dice: Chi ha la fede ci vede. Noi cristiani incontriamo le stesse difficoltà degli altri uomini. La fede, però, ci aiuta a vedere ogni cosa sotto una luce diversa e ad affrontare le difficoltà in modo più determinato.
Il cieco esce dalla sua condizione di naufrago umano perché qualcuno si è accorto, si è fermato, ha ascoltato la sua angoscia, la sua tenebra e lo chiama.
Camminiamo anche noi in compagnia di Gesù e gridiamo la nostra fiducia.
Con il Signore nella nostra vita c’è sempre un dopo.

Due Adolescenti 21/10/2018

DUE ADOLESCENTI

21 Ottobre 2018

Gesù sceglie per sé come stile di vita il servizio, accogliendo la sofferenza e la croce per la salvezza di tutti. Per la terza volta Gesù parla della sua imminente passione e morte e due apostoli, i fratelli Giacomo e Giovanni, si fanno avanti per chiedere i primi posti nel futuro regno che Gesù stesso sta per realizzare. Mentre Gesù pensa alla sua tragica fine, essi pensano ai posti di onore, a fare carriera, a conquistare una posizione di prestigio.
Gesù trova davanti a sé due adolescenti che gli dicono: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” (Mc 10,35).
Molti sociologi concordano col dire che oramai si trovano più adolescenti tra i cinquantenni che tra i quindicenni. Quanti genitori vivono litigi su litigi, richieste assurde, porte che sbattono, figli che si chiudono in camera e rifiutano i tentativi di dialogo.
Gesù non si arrabbia, pur vedendoli così lontani. Riconosce che anche loro, un giorno, berranno l’amaro calice e saranno nella sofferenza. L’apostolo Giacomo, uno dei due, morirà, qualche anno dopo, martire a Gerusalemme.
Come tutti, forse, anche noi chiediamo che Dio faccia la nostra volontà, esaudisca i nostri desideri e realizzi i nostri ideali, al riparo dalla sofferenza e dal dolore, al sicuro dagli imprevisti e dalle tempeste della vita.
L’ambizione, si sa, è la molla del potere. Chi si trova investito di autorità e ci è arrivato magari a forza di gomitate, ama costruire attorno a sé degli steccati, accetta i suoi privilegi ed è pronto a difenderli magari con arroganza.
Sin dalle origini anche la chiesa ha corso il rischio di accettare privilegi, di cercare le alleanze giuste, tollerando gesti di sottomissione.
In tutti i tempi ci sono state, e ve ne sono tuttora, persone meravigliose che non si preoccupano di nulla se non di annunciare il Vangelo e di servire i fratelli.
Noi tutti siamo chiamati a domandarci come stiamo vivendo la nostra piccola o grande fetta di autorità in famiglia, sul lavoro, nella scuola.
Ma Dio non ha troni, si inginocchia davanti a ciascuno di noi e lava i nostri piedi. Da questa posizione è per Dio più facile guardarci negli occhi e curare le nostre ferite.
Poco importa se siamo come lucignoli che si stanno spegnendo, se siamo senza luce. E’ Lui la nostra Luce! Seguiamola, fidiamoci e sentiremo rivolgerci le parole: “Vieni servo buono e fedele, nel mio Regno c’è posto anche per te”.

Amare ed essere amati 14/10/2018

AMARE ED ESSERE AMATI

14 Ottobre 2018

Anche oggi il vangelo ci propone un messaggio particolarmente esigente.
Un tale chiede a Gesù che cosa deve fare “per avere la vita eterna”. Gesù gli dirà. Vendi quello che hai, dallo ai poveri e vieni, facendo una scelta di libertà.
Quel tale, giovane, non ci sta, si spaventa e si rifiuta. Se ne va triste perché è ricco e possiede molti beni. Quando si è tristi qualcosa non va anzitutto nel profondo di noi stessi, nei valori che contano, nelle scelte importanti, nei confronti di Dio.
Quest’uomo è una persona perbene, che compie il bene e che rispetta tutti i comandamenti fin dalla più tenera età. Sarà per tutta la vita onesto e triste.

Gli manca qualcosa: è alla ricerca della vita eterna! Gesù, fissato lo sguardo sul giovane, lo amò! Il filo conduttore che porta alla felicità è la scoperta di essere amati e di poter amare. Non c’è nulla che possa essere paragonato all’amore. Né i soldi, né il successo, né il potere.
A questo giovane restava da compiere solo l’ultimo passo dell’amore: cominciare a voler bene come quel Dio buono che ama sempre, per primo e senza contraccambio.
Che strano, a volte, veder passare davanti a sé il treno della felicità e non trovare il coraggio di salirci sopra. Come certi viaggiatori che non si decidono a salire sul treno e preferiscono la tranquilla monotonia di un marciapiede da cui non partire mai.

Dopo questo incontro col giovane ricco Gesù dirà: Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel Regno di Dio! (Mc 10,23).
I discepoli, stupiti, confusi, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?
(Mc 10,26). Gesù dirà ancora: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio. Perché tutto è possibile a Dio” (Mc 10,27). Gesù non propone la povertà, ma la comunione.
Nei duemila anni di storia della chiesa molti giovani ricchi e generosi hanno rinunciato a tutto e hanno scelto di mettersi dalla parte dei poveri e di Cristo: San Francesco, don Milani, Piergiorgio Frassati, Marcello Candia (industriale milanese trasferitosi in Amazzonia). A tutti coloro che dedicano la loro vita per la diffusione del Vangelo Gesù assicura il centuplo e la vita eterna.

Gesù, anche a noi, a tutti, chiede qualcosa di più. Il Vangelo ci invita a metterci nei panni degli altri, a cambiare il nostro atteggiamento, la nostra disponibilità verso i poveri diventando, tutti, un po’ meno avidi. Non siamo noi ad accaparrarci la felicità. L’uomo può compiere tutta una serie di azioni che aprono la strada ad una possibile gioia, ma quest’ultima rimane sempre una grazia.

Non è bene che l’uomo sia solo 7/10/2018

NON E’ BENE CHE L’UOMO SIA SOLO

7 Ottobre 2018

Nel progetto originario della creazione Dio ha voluto che l’uomo, creato a sua immagine, non fosse solo. Il “male originale è la solitudine” e Dio ha pensato all’uomo dicendo: “Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gn 2,18). Ha creato così la donna affinchè tra i due si stabilisse una relazione di reciprocità e fossero “un’unica carne” (Gn 2,24). In principio ci fu quindi un sogno, bellissimo: che l’amore fosse per sempre. Non è il matrimonio, tuttavia, che rende felici le persone, sono le persone che possono rendere felice il matrimonio, se scommettono e contano sull’amore.

Nonostante la facilità a tradire, nonostante le crisi e le fatiche che tante coppie incontrano nella vita coniugale, il matrimonio rimane sacramento di salvezza possibile e vicina. Sono gli uomini che, nel loro cammino, a causa di stanchezze, fallimenti, tradimenti, si sentono inadeguati nella risposta all’amore incondizionato e appassionato di Dio. Il progetto di Dio si scontra con una realtà fatta spesso di fragilità, crisi, cadute, separazioni, fino a nuove unioni. Perché avviene tutto questo? Qualcosa nel matrimonio si incrina, un rancore che non si scioglie, un litigio che varca il limite, il silenzio della stanchezza, un tradimento. Vi sono poi matrimoni che proseguono ma solo per salvare apparenze e facciata.

Gesù, il Maestro che tutti conosciamo, colui che ha banchettato coi peccatori, con gli esattori delle tasse, comprensivo con figlio prodigo, con le prostitute, con la samaritana dalle cinque unioni, dice: “L’uomo non divida quello che Dio ha unito” (Mc 10,9).

Il matrimonio riuscito non è quello dove i piatti non si rompono mai, ma quello dove la forza di costruire insieme un rapporto solido prevale sulla tentazione di mandare tutto quanto a gambe all’aria. Due persone non possono andare così d’accordo da non ferirsi mai. E’ allora che deve prevalere la volontà d’amare.

Papa Francesco ha detto: “Potete anche rompere i piatti, ma prima che giunga la sera avvicinatevi al vostro coniuge e fate la pace”.

I coniugi credenti debbono essere consapevoli che il matrimonio è sacramento, sacramento che è salvifico, che aiuta e sorregge.

Nella nostra vita quotidiana vi sia, tuttavia, da parte delle nostre comunità, la chiamata ad accogliere, con rispetto e apertura di cuore, i tanti casi dolorosi di separazioni e divorzi. Negli ultimi decenni la chiesa, anche attraverso movimenti quale “Incontro Matrimoniale Retrouvaille”, offre la possibilità di superare i problemi di coppia e salvare un matrimonio. E’ una mano tesa ma, anche in tale caso, occorre sempre la “volontà d’amare”.

Imparare ad amare

IMPARARE AD AMARE

30 Settembre 2018

Oggi la Parola di Dio ci esorta alla tolleranza.
A Giovanni e agli apostoli, che non accettano che altri possano compiere guarigioni, Gesù dice loro: “Chi non è contro di noi, è per noi”. (Mc 9,40).
L’impegno di seminare il bene nel mondo non è esclusivo dei cristiani.
Possiamo forse provare gelosia nei confronti di alcuni nostri fratelli che si adoperano per il bene ma che non vengono mai in chiesa?
Le parole di Gesù sono davvero consolanti quando dice: “Chi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome a uno qualunque non perderà la sua ricompensa” .
E’ doveroso quindi riconoscere il bene che c’è in ogni persona. C’è tanta gente che in ogni parte del mondo compie il bene con animo disinteressato, senza aspettarsi, il più delle volte, un semplice grazie.
La chiesa, spiega Gesù, è di tutti, tanto dei santi quanto dei peccatori.
Nell’amore ci deve sempre essere spazio per il perdono e per la benevolenza verso tutti.
“L’amore sa aspettare, anche a lungo, fino all’ultimo. Non diventa mai impaziente, non vuole affrettare o costringere. Conta sui tempi lunghi…
Aspettare con pazienza, continuare ad amare ed essere benigno..(D. Bonhoeffer).
Gesù usa poi parole durissime contro chi scandalizza i piccoli. “Tagliare la mano, il piede, togliere l’occhio ecc. per non essere di scandalo”. E’ chiaro che Gesù non invita a mutilarsi per evitare il peccato. A Gesù interessa una vita nuova. Chiede di liberarsi da tutto ciò che diventa di ostacolo al vivere bene con Dio e i fratelli.
Gesù ha a cuore i piccoli nella fede, le persone indifese, incapaci di rispondere. Tra questi troviamo i bambini spesso vittime di un ambiente diseducativo creato dagli adulti, coinvolti nelle crisi delle loro famiglie in difficoltà.
S. Giacomo, nella seconda lettura, alza duramente la voce contro i ricchi ingiusti che accumulano beni su beni e costringono i lavoratori a vite miserabili. Ha parole di fuoco contro coloro che vivono nel lusso più sfrenato ignorando gli altri, i più svantaggiati.
Questa parola è per tutti noi un pugno allo stomaco. Dobbiamo, tuttavia, guardare con riconoscenza a quei ricchi che mettono a disposizione i loro beni a favore della comunità, dando lavoro, creando nuovi posti di lavoro, aiutando l’umanità a crescere.

Come un bambino 23/09/2018

COME UN BAMBINO

23 settembre 2018

A tutti fa piacere essere primi, essere visti, essere al centro delle attenzioni e sguardi altrui. Tutti noi desideriamo essere ammirati, benvoluti, desiderati.
Gesù ci insegna, invece, la logica della donazione e dell’amore offerto generosamente. Gesù ci dice di non servirci degli altri per emergere, primeggiare, scavalcare e sopraffare.
Gesù va giù di brutto e ci chiama a scegliere l’ultimo posto, a scegliere la strada del servizio. Gesù, rivolgendosi agli apostoli sempre in cerca di posti di prestigio, dice: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Gesù rivolge queste parole mentre si sta avvicinando a Gerusalemme dove sarà condannato a morte. I suoi amici sono disorientati e pensano solo ai posti di onore: a tavola, nelle sinagoghe, per strada, nelle assemblee.
Gesù propone sè stesso come modello: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). A questo punto Gesù, con un gesto a sorpresa, chiama un bambino e lo mette in mezzo al gruppo degli apostoli dicendo: “Se ci tenete tanto a diventare grandi agli occhi di Dio e occupare i primi posti, dovete diventare come questo bambino”. Gesù non lo fa per suscitare tenerezza ma per ribadire che il bambino non conta, è ai margini, non ha potere. Tale era allora ( e lo è anche oggi in molte parti del mondo) la condizione dei bambini. Non erano amati i bambini ai tempi di Gesù. Erano tanti, chiassosi e gli adulti non vedevano l’ora che varcassero la soglia dei dodici anni, età in cui passavano al rango di adulti. I bambini si fidano, non temono “imbrogli”, non fanno calcoli, non si domandano se e quanto ci guadagneranno. Proprio perché sono piccoli essi sono spesso indifesi, oggetto di strumentalizzazioni, incapaci di ribattere, di far riconoscere i propri diritti di persone.
Gesù chiede ai suoi apostoli di cambiare dentro, di operare una conversione, di acquisire la mentalità senza calcoli dei bambini.
Il nostro pensiero oggi non può non andare alle persone che lavorano in campo educativo. Specialmente di questi tempi non è facile essere maestra, insegnante, allenatore, educatore, genitore, catechista…
La fatica dell’educazione Gesù l’ha battezzata con il nome di “servizio”.
Non è una parola facile e confortevole. E’ però una grande sfida.
Maria Montessori, la grande pedagogista moderna, sognò che il mondo dovesse passare proprio per la formazione di educatori solidi e determinati.
Un brano evangelico recita: “Chi accoglie un bambino accoglie Dio in persona”.