NON TEMERE, SOLTANTO ABBI FEDE (Mc 21,36)
1 Luglio 2018
Il brano evangelico della XIII domenica del Tempo Ordinario racconta due straordinari miracoli di Gesù che pongono l’uomo di fronte al problema della malattia e della morte.
Gesù, dopo aver comandato alle acque del lago di calmarsi, si sta recando alla casa di un capo della sinagoga, di nome Giairo, per guarire sua figlia di dodici anni.
Mentre cammina Gesù viene accostato e toccato da una donna ammalata.
Essa ha perso ogni speranza di poter guarire, ha “molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando”. Questa donna vede nella possibilità di incontrare Gesù l’ultima carta da giocare per poter riacquistare la salute e poter ritornare a vivere. E’ una donna piena di coraggio e di voglia di vivere, non è una rassegnata. Soggetta a continue perdite di sangue era considerata impura e viveva emarginata.
Nonostante ciò si avvicina a Gesù e tocca il suo mantello manifestando la sua fede. Di fatto Gesù la guarisce, senza medicine, senza parlare, senza gesti particolari, con naturalezza. Gesù la loda per la sua fede e il suo diritto di rientrare a pieno titolo nella sua comunità. E’ una donna disperata ma intraprendente e con la sua fede strappa a Gesù un miracolo.
Gesù continua il suo cammino diretto alla casa di Giairo per guarire sua figlia quando giunge al padre la notizia : “ Tua figlia è morta “. Ma, Gesù, che sta facendo un “viaggio verso la vita” invita il padre della bambina a non temere e gli dice: “Soltanto abbi fede”.
Quando Gesù giunge alla casa di Giairo la figlia è di fatto ormai morta. Gesù, fra lo stupore e gli sguardi ironici della gente, dice :La bambina non è morta, ma dorme”.
Invita quindi la bambina ad alzarsi e a camminare. Gesù si preoccupa e con parole affettuose invita i genitori a darle da mangiare.
Che insegnamento riceviamo da questa pagina del Vangelo?
La malattia è qualcosa di cui non riusciamo a comprendere pienamente il senso, è un mortificare la vita, è una limitazione che crea insofferenza, che porta spontaneamente più alla ribellione e alla bestemmia che alla serena accettazione, “Perché Dio, che può tutto e mi è Padre, mi lascia soffrire così?” L’ammalato ha bisogno della vicinanza di qualcuno che lo ami veramente, che gli dica con la sua presenza che anche Dio lo ama e che la malattia non è un castigo ma è una realtà che fa parte della condizione umana.
Chi è malato vive spesso una crisi di fede. Per questo dovrà chiederla a Dio, avvicinarsi a Gesù per toccargli il mantello; non solo per ottenere un miracolo ma per riuscire a continuare a credere nella bontà di Dio.
Chi è ammalato però deve anche cercare di dare un senso alla sua sofferenza, deve imparare a vivere in quella situazione di disagio: C’è una salvezza che si fa strada nonostante la malattia.
Chi non ha sofferto non conosce tutto della vita, non ha vissuto realmente. Sovente chi sta bene non riesce a capire, fino in fondo, chi sta male.
L’invito, per chi si trova nella sofferenza e nella malattia, è di continuare a camminare, a non fermarsi mai, a lottare con tutte le forze, ad avere fede.